La Sharing Economy è entrata a gamba tesa nel Real Estate

03/11/2025

(a cura di Chiara Conso)

La Sharing Economy, il nuovo modello economico che propone un consumo basato sullo scambio e sull’utilizzo di beni e servizi e non sul loro acquisto, prediligendo l’accesso al possesso, è diventata uno stile di vita, estendendosi dalla mobilità (car sharing, ride sharing) alla condivisione di strumenti e attrezzature, e conquistando in modo particolare Millennials e Generazione Z per la flessibilità che la caratterizza.
Le sue innovative modalità interessano in modo massiccio anche il Real Estate, in termini sia di fruizione sia di monetizzazione degli immobili, permettendo a individui e imprese di adattare rapidamente i loro spazi a esigenze in continua evoluzione.
Riconosciuta come uno dei quattro ambiti del PropTech , la sua forma più conosciuta è senz’altro l’affitto a breve termine di stanze con spazi in condivisione (come cucina o bagno) o intere case a uso esclusivo, concordato direttamente tra locatario e locatore o, molto più di frequente, perfezionato tramite piattaforme di intermediazione come Airbnb, Booking.com o VRBO. Dal report Chi gestisce davvero il mercato Airbnb? Gli affitti brevi in Italia dal 2017 al 2024, realizzato dal centro di ricerca Future Urban Legacy Lab del Politecnico di Torino, si evince che, solo sulla piattaforma olandese, gli alloggi disponibili e attivi su territorio nazionale nel 2024 sono circa 750.000, con un aumento del 52% rispetto al 2017. Sono aumentati anche il numero di notti prenotate per alloggio (circa 70 con un incremento del 50% nel periodo preso in esame) e la tariffa media giornaliera (del 50%). L’impatto è deflagrante, da tutti i punti di vista: ne ha pesantemente risentito l’ospitalità alberghiera tradizionale, che offre soluzioni più standardizzate rispetto alle opzioni di alloggio uniche e in molti casi più convenienti dei nuovi host; ne hanno fortemente beneficiato i singoli, per i quali è diventato semplice entrare nel mercato degli affitti brevi (si pensi solo che per i locatori, privati e imprese, che si affidano a Airbnb, il giro d’affari è passato da circa 2,5 miliardi di euro nel 2017 a 8,8 miliardi nel 2024); ma ha significato anche un impatto importante sulle comunità locali, a causa della diminuzione della disponibilità di alloggi in affitto a lungo termine, una questione molto dibattuta nel periodo post-pandemico che viaggia di pari passo con le problematiche legate alla regolamentazione, anche di sicurezza, del settore.
Stanno prendendo piede anche il co-housing e il co-living, due forme di condivisione abitativa che presentano alcune differenze tra loro. Nei complessi immobiliari di co-housing le abitazioni sono di proprietà dei singoli, mentre sono a disposizione di tutti spazi come sale polivalenti, palestre, lavanderie o ludoteche, la cui gestione è democratica e collettiva e risponde a principi di socialità e benessere. L’interesse per il co-housing è in costante crescita, promuove scelte di vita sostenibile e favorisce la creazione di un senso di comunità, oltre ad andare incontro a necessità particolari come quella di una vita protetta per anziani, che possono rimanere indipendenti usufruendo di servizi condivisi mirati di assistenza e cura (in questo caso si parla più propriamente di silver housing). Per co-living, invece, si intende una condivisione transitoria di affitto o di proprietà, che risponde a esigenze abitative temporanee, per esempio di studio o di lavoro.
La Sharing Economy ha anche aperto la strada al co-working, ossia alla condivisione in affitto di spazi e uffici che sta diventando sempre più popolare tra professionisti e startup, perché permette di usufruire anche solo per qualche ora di ambienti accoglienti, dotati di adeguate attrezzature e predisposti a modalità collaborative.
Ma c’è anche l’affitto temporaneo di negozi (temporary shop), per un solo giorno, per settimane o qualche mese, utile per campagne commerciali puntuali, per testare un concept o raccogliere una risposta dal quartiere senza impegnarsi in un contratto di locazione duraturo.
Ricordiamo, infine, la condivisione dello storage, che permette da una parte di mettere a reddito spazi inutilizzati o sotto-utilizzati, che siano garage, seminterrati o magazzini, dall’altra, di beneficiare di soluzioni flessibili ed economiche da parte di privati o aziende che necessitano di ambienti per stoccaggi temporanei. Tuttavia, rispetto ai depositi tradizionali, sottoposti a normative specifiche e standard di sicurezza, la mancanza di controllo e di regolamentazione su questa tipologia di condivisione è tema attuale.
Negli ultimi due decenni, la tecnologia è stata il motore della crescita della Sharing Economy, che fa registrare casi d’uso e servizi sempre nuovi basati su piattaforme che migliorano costantemente i propri servizi e l’esperienza utente, aumentano l’accessibilità e la convenienza, e promuovono un utilizzo più efficiente delle risorse immobiliari esistenti.
Per altro verso, a oggi non è sempre facile distinguere tra un’economia di natura collaborativa e una tradizionale, cioè in alcuni casi è arduo capire se la condivisione sia
effettivamente da ascrivere alla Sharing Economy o se si tratti di un comune contratto transattivo. Un esempio per tutti è la proprietà transitoria in co-living, tanto più che nel nostro ordinamento esistono già alcune figure giuridiche legate al concetto di proprietà temporanea, come la donazione con patto di reversibilità o l’acquisto della nuda proprietà con usufrutto a termine. Un’incertezza nell’identificazione e nell’applicazione delle normative, anche in materia fiscale, che richiede di essere risolta, perché tutti gli indicatori segnalano che l’economia della condivisione, nel suo insieme, è destinata a ulteriori e veloci sviluppi.

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